Universi paralleli 1

di giorginacantalini

Nell’universo A la città è endocentrica, abitudinaria, pietrosa, gerarchica, ripetitiva, sovrastante campi e altopiani e sovrastata da cortine rocciose. Strati di storia, memorie e tradizioni la attraversano e la configurano delineando i vicoli che la percorrono. Il disegno architettonico dei luoghi si duplica identico nei cuori: durezze e preziosità, torpori e ingegni, freddezze e calori, approssimazioni e consapevolezze, nella rassicurante regolarità della provincia astiosa, ma accessibile. Tutto è a portata di mano: le distanze sono brevi, gli amici raggiungibili, l’incontro facilitato, i luoghi designati, gli aperitivi noti, le sorprese attutite, i percorsi dettati, l’ignoto esiliato. La bellezza serpeggia, la poesia s’intuisce, purché non si insista. Il clamore non gioverebbe all’equilibrio del reticolo murario ed umano di cui la città è composta. La dicono ‘immota manet’, ma non per la solidità e fissità delle sue fondamenta, bensì per la natura avviluppata e insolvibile dei contrappesi che ne formano l’incastro.
Nell’universo B la città è acentrica e labirintica. Ogni qualvolta si ha la speranza di essere arrivati alla meta, questa si dissolve in nuovi percorsi multidirezionali e rotatori. Le pietre si concepiscono senza capitelli e giacciono disseminate ovunque, smorzate nella loro possanza da rampicanti e terriccio. Ciò che di là sono tracciati architettonici, qui sono binari per ottovolanti in caduta libera, ciò che là è intrico umano, qui sono semplificati schieramenti unilaterali sparsi e in fila indiana. Nulla è prevedibile se non la dilatazione informe del labirinto, niente è afferrabile, perché distante e dislocato. Nell’universo B si urla o si tace, alternando silenzi spettrali a rumori incoerenti. Non vi sono case, perché le pietre non possono stare insieme, ma si vive in alloggi di cellophan e neon, tra il prêt-à-porter e l’usa-e-getta. La città è chiamata ‘immota manet’, ma non per la natura intrinseca delle cose, bensì perché così è scritto sui souvenir di plastica a disposizione di turisti e curiosi.
Nell’universo A esiste il passato e il passato va dal più lontano al più vicino e il più lontano ha il sapore del mito e della tradizione: le feste di Natale, i fritti poveri, le ricorrenze dei pastori, le passeggiate ai santuari, le minestre di maggio, i carnevali brevi per rispetto di antichi lutti, le processioni del venerdì santo con la pioggia o la neve. Nell’universo A i padri tramandano ai figli gesti e sapori.
Nell’universo B esiste il passato recente vestito d’antico: ricostruzioni di cortei medievali allestiti da sartorie teatrali, stampe digitali di gonfaloni, fanciulle portatrici di bolle come miss, ruderi trasfigurati in set cinematografici, gare di falconieri, documenti d’archivio come codici davinci. Nell’universo B i padri non ricordano le storie di quelle celebrazioni e i figli migrati neanche.
Nell’universo A il futuro si confonde con il presente e il presente si culla pigramente nel passato. Ricordare è passatempo lieve e spesso esilarante e la nostalgia un rito abitudinario consumato nei circoli della città e nelle rare panchine assolate.
Nell’universo B il futuro è declinato burocraticamente in linguaggi cifrati, per i quali diplomi e lauree si rivelano inefficaci e le persone analfabete, il presente frutto di esperimenti di reset e il passato criminalizzato: le memorie sono condannate al rogo come le polizie religiose bruciavano le intelligenze e quelle fantastiche i libri.
Nell’universo A l’utopia è bandita. Consolidate e centenarie gerarchie la inibiscono e la vanificano in nome di regole e privilegi intoccabili e indiscutibili. Anche nell’universo B l’utopia è negata. Farmaci anti-depressivi e sostanze a vario titolo stupefacenti contribuiscono alla pacificazione dei desideri e alla costruzione di condizioni di vita indolori. Nell’universo A si preferisce lasciare tutto com’è, nell’universo B lo straniamento di moderni nirvana.
Nell’universo A il motto è ‘immota manet’, in quello B pure.